mercoledì 20 marzo 2013

Quando la danza si sposa con l'architettura



Bianchi e neri che riescono a trovare l’armonia nel contrasto fra due ambiti apparentemente distantissimi come l’architettura e la danza. Ecco quindi che le linee disegnate dalle pose delle ballerine sembrano seguire quelle progettate spesso secoli prima da architetti che mai si sarebbero immaginati uno sposalizio di questo tipo.


Cosa c’è dietro le esibizioni perfette dei ballerini? Quanto costa, in termini di fatica e stress, eseguire correttamente passi e figure? E in cosa consiste l’essenza della danza?

Questo il filo conduttore della ricerca che Simone Ghera conduce ormai da anni con la sua macchina fotografica.
Architetto romano, classe 1959, è sempre stato attratto dalla fotografia finché non ha frequentato un corso specialistico nel corso del quale, trovandosi a scegliere un tema su cui esercitarsi, ha individuato lo Ials, scuola romana di spettacolo presso la quale sua figlia seguiva un corso di danza.


Da lì l’idea di “Dancer inside”, il progetto nato a Londra nel 2007 con cui ha catturato immagini di ballerini, compagnie e accademie di paesi diversi, scattate durante prove, lezioni e allenamento quotidiano, sia nei backstage sia in location esterne caratterizzate da contesti storici e architettonici.
L’obiettivo di Ghera è così riuscito a cogliere situazioni non convenzionali tra l’Europa (Madrid, Londra, Roma, Berlino, Firenze), gli Stati Uniti (New York) e la Russia (San Pietroburgo). E dopo le esposizioni a Roma, Madrid, San Pietroburgo, Mosca e Tel Aviv, la mostra fotografica approda a Berlino, al Franzosischer Dom, realizzata in collaborazione con la Staatlische Ballettschule Berlin, la più prestigiosa scuola di ballo pubblica della Germania.


Danza e architettura non è un binomio nuovo, basta ricordare Ginger e Fred di Frank O. Gehry, l’edificio praghese sede degli Uffici Nazionali Olandesi, così denominato perché i due corpi dell’edificio ricordano due ballerini colti in un passo di danza.La prospettiva di “Dancer inside” è diversa. 
Fil rouge è Berlino, che collega i diversi ritratti delle ballerine colte durante le prove e i backstage, e due sono gli elementi di ricerca che la rendono interessante e diversa dalle tante esposizioni fotografiche che abbiamo visto nel corso degli anni: niente palcoscenici o teatri, al contrario vita quotidiana e architettonicità. 
Prima di tutto la “vita”, l’umanità, con un’ispezione quasi da catena di montaggio del lavoro di danzatore. Come il titolo del progetto allude, l'interesse del fotografo è verso la danza intesa come sudore e duro lavoro: ed ecco quindi immagini di esercizi alla sbarra, espressioni di occhi esausti, minimi dettagli fisici colti sia durante gli esercizi che nei momenti di relax, tutti rigorosamente in bianco e nero.


Altro elemento è l’intuizione che i ballerini disegnino il movimento. Non più il loro librarsi nell’aria o la capacità di plasmare il corpo fino a renderlo quasi una scultura in movimento tipici di tante immagini:  
Anche se il movimento è considerato l'essenza della danza, quello che trovo più interessante sono gli angoli statici e le linee dei danzatori. Li vedo molto vicini a particolare architettonici,- scrive Ghera su sul sito della mostra- perché la danza è molto più di ciò che si vede in scena”.






Una composizione fotografica generata dall'architettura, quindi, in un gioco di contrasto e di armonia con l'inserimento delle ballerine in contesti come scale, edifici, strutture dismesse e ambientazioni prospettiche ,in orizzonti quasi sempre inclinati che offrono diverse possibilità di guardare e percepire l'immagine.








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